Il nostro inserimento all’asilo

Il tempo delle vacanze è terminato. Anche per noi, che siamo gli ultimi a scendere dalle colline, è giunta l’ora di fare qualcosa di socialmente utile: iniziare l’asilo nido.

“Attento Peter, perché quando varcherai quella soglia, non potrai più tornare indietro per i prossimi quindici anni.”
Per fortuna non credo abbia capito. Per fortuna non è così brutto andare a scuola. Però questo cambiamento è epico. Come passare da una convivenza ad un amore a distanza. Ci saranno anche dei vantaggi, ma la sensazione iniziale è che qualcosa di molto importante ci mancherà tanto.  

La riunione preliminare con le maestre e gli altri genitori cancella i nostri dubbi tecnici, ma non quelli psicologici.
Il bimbo entrerà gradualmente nei prossimi venti giorni. Prima un paio di ore, poi pranzo e infine pisolino pomeridiano, fino a trascorrere dalle 9:00 alle 16:30 nel suo nuovo mondo. Che farà, come reagirà, cosa penserà? Rimane un’incognita per tutti.

  

Le 7 non-regole di Dandy Daddy sull’inserimento all’asilo

Mi piace dare consigli inutili, ecco quindi le non-regole di Dandy Daddy per l’inserimento al nido d’infanzia, meglio noto come asilo nido. Mi raccomando, non seguitele.

  1. Non voltarti mai indietro
    Il primo vero distacco genitore – figlio è duro per tutti. Ti volti, lui ti guarda e piange.  Nonostante Peter sia un bambino sicuro, sereno e spensierato, l’ho visto strisciare, urlare e scalciare pur di non rimanere da solo a scuola. Come ridurre al minimo questo dramma?
    Una tecnica me l’ha consigliata la dada: salutare bene il bimbo, fargli capire che stiamo andando via, metterlo tra le braccia della maestra e partire sicuri; poi, non voltarsi mai indietro. Un taglio ombelicale degli sguardi. Fortunatamente l’inserimento è solo un piccolo momento in una grande avventura.
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  2. Meglio papà che mamma
    La mamma è sempre la mamma, non si discute. Per questo, quando si tratta di accompagnare un bambino a scuola per poi abbandonarlo, è meglio che vada il papà: l’addio forse sarà più indolore. Nessuna prova scientifica a conferma della mia tesi, però a me è sembrato così. Il distacco dalla madre è uno shock da evitare. Non se ne abbiamo a male i babbi di tutto il mondo.
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  3. Fidarsi è bene
    Il passaggio è netto: nostro figlio, dopo un anno vissuto sempre insieme, ora è tra le mani di un’altra persona. Saranno le mani che gli daranno da mangiare, lo puliranno, lo coccoleranno. Che lo solleveranno al cielo per farlo volare. Quindi, a meno che non si decida di educare il proprio figlio in casa, è importante creare un rapporto di fiducia con le persone che lo seguiranno in questi anni: le magiche dade. Alcuni genitori le temono, le sfidano o non le ascoltano, forse sentendosi privati del loro ruolo. Li capisco. Ma nella malinconia di vedere il mio Peter fuori di casa a soli 18 mesi ho scelto di affidarmi e di credere in quelle dade.
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  4. Stare lontani dalle chat
    Un chiacchierone come me ha sempre amato le chat. Poi ho scoperte quelle di classe, dove trenta mamme e un babbo tendono a discutere più sull’abissale tema dell’infanzia che sui problemi scolastici concreti. E per una domanda, ventinove risposte. Ovviamente è importante leggere questi contenuti, magari una volta alla settimana.
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  5. Un universo di malattie
    Questa settimana siamo stati colpiti dal virus Bocca Mani Piedi. Simpatico nome che ci ha contagiati tutti. La settimana prima tre nasi sgocciolanti. E chissà quante nuove avventure batteriche ci attendono, tutte da condividere in famiglia. L’asilo sarà il grande serbatoio virale da dove attingeremo. Un consiglio tanto saggio quanto ovvio: un bambino che non sta tanto bene è meglio che rimanga a casa.
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  6. Una nuova vita
    Vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno? Da oggi il tempo a disposizione di mamma e papà quadruplica. Dopo quasi due anni inizia un nuovo ciclo con nuovi ritmi. Siamo stati benissimo fino ad ora, ma non temiamo i cambiamenti. Purtroppo coinciderà anche con il nostro ritorno al lavoro, però queste settimane di limbo sono importanti per dedicare alla persona e alla coppia le risorse che prima erano impegnate. Quindi mamma e papà cucinano insieme, guardano film, fanno passeggiate e si ricaricano per il prossimo desiderato fratellino.
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  7. Ogni cosa, passo dopo passo
    Roma non è stata costruita in un giorno. Neanche il rapporto Dandy Daddy – Peter. Ci sono voluti mesi per sentirmi chiamare papà e non mamà, dadà o ·. Giorni interi a dondolarsi abbracciati in amaca per fondere i profumi delle nostre pelli. Ore di tuffi e salvataggi per solidificare la fiducia in sé stessi e tra di noi. E dopo tutto questo, volete dirmi che devo lasciare il mio bimbo a qualcun altro? Purtroppo sì. A due settimana dall’inserimento, però, vedo il percorso più definito e inizio a sentirmi meglio. Passo dopo passo, il piccolo Peter sta crescendo.

E voi come avete reagito al primo pianto davanti all’asilo? Avete rinunciato dopo i primi giorni? Esistono altre malattie dal nome simpatico? Non siate timidi e rispondete nei commenti qui sotto!

Consigli inutili ne ho sempre dati in abbondanza. Vi ricordate le 10 non-regole di Dandy Daddy? Cliccate sul titolo per rileggerle tutte. 

Buona la prima (settimana)

prima-settimana

Mi avvolge una sensazione.
La stessa provata durante le notti che precedono l’esame di maturità, la partenza per il fantomatico erasmus o il giorno del mio matrimonio bielorusso: sono giustificatamente sovraeccitato.
Le ore preludio di questa missione che cambierà la mia vita sono volate come i boeing Ryanair quando, per ostentare la loro puntualità, decollano con l’hostess che sta ancora simulando l’ammaraggio.

La prima settimana insieme a Peter è passata.
Ora siamo allineati ed il confronto con la mamma, regina indiscussa del rapporto genitore – figlio, non fa più paura.
La prima settimana ha il sapore di salsedine. Non perché siamo andati al mare con pioggia, neve e 4 miseri gradi Celsius — belle giornate queste — ma perché stiamo iniziando ad assaporare il nostro viaggio transatlantico, appena salpati dal porto.

Ma come è iniziato tutto?
La sospensione del lavoro, uno stile di vita più familiare e meno societario, il tempo che fluisce da un vaso all’altro, non più comunicanti tra loro.
Il labirinto di motivazioni che mi hanno portato fin qui è stato superato. Anche se di tanto in tanto è utile ricordare, leggendo questo post.
Una settimana è trascorsa, l’atrio è stato varcato, il dado è tratto e la mucca è pazza.

Cosa mi accadrà, ma soprattutto cosa accadrà a Peter da oggi sotto la mia ala protettrice, ce lo dirà il tempo e più concretamente il blog Dandy Daddy.
Ora vorrei solo soffermarmi sulle sensazioni iniziali, quanto percettibile ad un assaggio, i primi tic di una sindrome d’amore.

Sintomi del paternage

Un cambiamento così brusco nel proprio stile di vita, o forse solo nella propria routine, genera degli effetti collaterali. Piacevoli o spiacevoli, effimeri o permanenti. Eccone alcuni:

  1. È sabato tutti i giorni, non si lavora ma c’è sempre qualcosa da fare
  2. Dopo oltre 30 anni, ritorna il sonnellino pomeridiano, altroché siesta iberica
  3. Gran compilation di sogni spezzati dai risvegli notturni di Peter
  4. Disfunzioni lessicali dovute al continuo uso di dittonghi in bambinese stretto
  5. Secchezza della mani a forza di lavarle, mai provata prima
  6. Modalità aereo: non rispondo a telefonate, messaggi, email fino all’atterraggio ossia il risveglio di Peter
  7. Impennata  di post e commenti su gruppi fb di mamme, maternità, maternage
  8. Incommensurabile voglia di primavera/estate, sgambettate all’aria aperta, spritz con passeggino, tuffi & abbuffi in campagna

Nessun dubbio, nessun ripensamento, nessuna cacarella.
Anzi le patologie psicologiche improvvise mi hanno sempre affascinato molto, sperando che alcune mi accompagnino fino all’ultimo dei miei giri  : – )

Baby Carneval de Paris

castello

Ci eravamo quasi dimenticati del carnevale, dicevamo poc’anzi. Ma fortunatamente i nostri amici bielo – thai ci hanno salvato invitandoci alla loro festa a Parigi.

Ogni bimbo sogna una festa di compleanno a Carnevale insieme Super power. O forse no. Ad ogni modo così é stato: un baby birthday carneval party al di là della nostra immaginazione.

Cavalieri corazzati che proteggevano il festeggiato, fatine russe che brillavano di magia pura e stregonerie di ogni genere. Tutto era reale, in entrambi i sensi, all’interno del castello settecentesco dove siamo stati prigionieri lusingati per due giorni.

Probabilmente per i bambini una festa di compleanno nel cortiletto dietro casa, o alla peggio da McDonald, sarebbe stata ugualmente magica. Per questa volta Il vero sogno l’abbiamo vissuto noi, mamma e papà.

Un carnevale multietnico

Ho sempre sognato di diventare cittadino del mondo, e auguro a Pietro di capirne l’importanza. Forse però questa volta abbiamo esagerato. L’allegra compagnia di furfanti bambinosi era così formata:

  • 1 festeggiato bielo-thailendese che vive a Parigi
  • 2 biondissime sorelline anglo-russe
  • 1 bimba bielo – milanese di gran classe
  • 1 monello cino-scozzese di 5 anni che voleva volare
  • 1 bimbo tedesco-cinese di un’eleganza e precisione svizzera (avrà sicuro i nonni a Zurigo)
  • 1 Pietro, che comunque è bielo-bolognese e sorride in tutte le lingue e linguacce del mondo

Io almeno questi ricordo.
Insomma, sentir parlare per tutto il weekend in russo, cinese, inglese, thailandese, italiano, tedesco, francese mi ha stravolto l’area di Broca.
Bambini e bambine, mandorlini e ricciolette con una manciata di anni a testolina, saltellavano felici tra un bolscevico harasho, un cinese ni hao e il classico hello.

Non vi dico la bellezza dei lineamenti, le esplosioni di tratti somatici, la bizzarria fisiognomica: il melting pot è sempre il mio piatto preferitoPeccato non poter mostrare, giustamente, foto di bimbi altrui. Perché? Leggi qui.

 

Questione di punti di vista

Proprio vero, bisogna calarsi nella parte, immedesimarsi, provare a capire come si sente il nostro interlocutore. Nel mio caso il baby datore di lavoro Peter.
Non ricordo da quale libro, corso, blog o puntata dei Simpson arrivasse questo consiglio — oltre che dal buonsenso e da una briciola di empatia.
#consiglio : chinarsi e seguire il bimbo nei suoi spostamenti, mantenendosi alla sua altezza.

Incredibile quante cose si vedono diverse a gattoni. In certi individui poi crea dipendenza, tipo me. Si inizia per seguire il piccolino nei suo zampettare a quattro arti motrici, ci si prende gusto guardando caviglie e non ci si rialza più.
Intanto noto che le scarpe delle invitate maggiorenni hanno dettagli impercettibili, si muovono freneticamente e sono spesso appuntite al limite del tagliente; quindi pericolose.
Gli uomini invece, tendono a stare più alla larga da bimbi ruspanti, come se la ferita di una sciabolata materna per aver malauguratamente pestato un ditino del proprio piccolo, fosse ancora dolorante.

Il gran finale

Ore bellissime quelle a gattoni, poi la torta, le canzoncine e gli ultimi sketch dell’animazione venuta direttamente da San Pietroburgo — pare che le migliori scuole di enfant cabaret siano lì.

Prima della cena, i cuccioli di uomo vengono rapiti e portati dalle babysitter presso la Maison dei Piccoli, finissima dependance a lato del castello, dove si è pensato bene di isolare acusticamente le famiglie infette dal virus parentale. L’idea non è male, raccoglierebbe i favori dei miei vicini. Ma, eine moment, non era una festa per bambini??

Ora, escludendo mia sorella e qualche zia, non ci è mai capitato in 9 mesi di lasciare Peter in giro senza di noi. Ma lo Champagne e i trenta Macarons ci intorpidiscono la mente e acconsentiamo.
Mia moglie Masha pasteggia a calici di sensi di colpa e foie gras di rimorso.

Tutto bene, non temete.
Ho visto balie filippine battere il mio record di Peter-risate sia nella categoria potenza massima che lunga durata. E quella ucraina volere bene a tutti e tre nonostante ci conoscesse da poche ore.
Insomma tutte donne con grandi capacità e voglia di avere cura dei bambini.
Di uomini indaffarati con i propri figli, invece e purtroppo, ne ho visti pochi ; – (

La prima prova da soli

prima prova piano

È giunto il momento di mettersi alla prova, prima del grande salto nel vuoto. Dal 1 febbraio sarò un babbo a tempo pieno, per qualche tempo o chissà per quanto. Il motivo? Lo trovate nel mio primo post.
Come tutte le sfide, c’è bisogno di allenamento, obiettivi e piano d’azione. Masha decide di mettermi alla prova: un giorno intero assieme a Peter, dalle 5 alle 23 pm, senza mamma.

Briefing

Tipologia problema: blackout mamma giornaliero
Intervallo blackout: 5 AM > 11 PM
Motivo: visita museo a Parigi in giornata (follia pura)
Età pupo: 7 mesi e 10 giorni
Allattamento: naturale (doppia tetta)
Ore di sonno notturne: 4 fasi da 2,5/3 ore ciascuna
Ore di sonno diurno: 3 pisolini da 0,5/1 ora ciascuno
Hobby bimbo: suonare il pianoforte a pugni, gara di urli con sé stesso
Mossa letale: pannolini atomici e ribaltamento della tele

Dal risveglio all’alba

Ore 5 del mattino. Mamma esce, Peter piange. Consecutio temporum.
Quasi quasi mi butto in strada e fermo il taxi che la sta portando via.
Poi un sussulto d’orgoglio. Anche perché presto questa sarà la mia vita quotidiana e non posso certo mollare al primo colpo.
Dai Peter, beviamoci su!
Dopo il primo sorso di latte ho già acquistato punti e fiducia.
Dai Peter, distraiamoci un poco.
Con grande gioia dei vicini iniziamo il nostro carnevale, fatto di urla, percosse e strimpellate.
Improvvisamente, la notte diventa giorno, il tempo saltella qua e là e l’alba si presenta puntuale alla finestra. Sarebbe ora di svegliarsi, per noi diventa ora di  farci un pisolino.

Uomini in azione

Tiri-titi tiri-titi, tiri-titi. Non ci sono più le sveglie di una volta.
Sono già le 11. Tre ore buone le abbiamo dormite.
Ora però sale la fame a tutti e due e c’è ancora un sacco di cose da fare.
Uomini in azione, con l’ordine e la precisione di un libretto d’istruzioni Ikea. Cambio pannolino, cambio pigiama, preparazione pappa, avanti con il soffritto. Poi ancora, dar da mangiare a bimbo, colazione babbo, impanatura carne. Bagnetto è un momento sacro, gesto purificatore, rigenerante ed emozionante, richiede calma, pazienza e forza negli avambracci. Celo, celo, manca. La nostra passione più grande, la musica, trova tempo e spazio ora che siamo da soli. Se con la mamma dieci minuti sono sufficienti per farle venire il mal di testa, ora abbiamo sala prove tutta per noi!
Il ritmo è ciclico. Si torna a mangiare e subito dopo pisolino.

Pomeriggiare senza sosta

Il pomeriggio è tutto in discesa. Per Peter questo è il trenino di corollari: gioco quindi ho fame, ho fame quindi mangio, mango e poi son sazio, sazio quindi dormo, dormo e son riposato, mi sveglio e son felice. E quando Peter è felice, il mondo è una giostra. Un giro al parco, uno dalla nonna (quella italiana; quella bielorussa la trovate qui). Per qualche ora possiamo fare quello che ci pare.
Poi, la magia svanisce, la fame ritorna e con la fame tornano le lacrime.
Di corsa a casa a ripetere la procedura della felicità.

Il ritorno della Jedi

La mamma, stanca come dopo una Parigi – Dakar – Bologna, torna alle 11 di sera. Trova i due uomini di casa pimpanti e pigiamati che l’aspettano, cena pronta. Fa un dettagliato check, tagliando e revisione, e con soddisfazione conferma il buon operato del papà.
Anche per questa volte ce la siamo sgavagnata (dal marchigiano: riuscire in qualcosa di impegnativo).

Obiettivi raggiunti:

  1. Bagnetto Peter con aquagym e nuoto su pancia
  2. Doccia papà, anche questa settimana è fatta : – P
  3. Tre pisolini da un’ora circa cadauno
  4. Quattro pannolini cambiati, portati direttamente in discarica
  5. Concerto cacofonico per pianoforte
  6. Giretto al parco da veri boss del quartiere
  7. Cena pronta per la mamma

Della lista di cose da fare, consegnata dalla mamma prima di partire, quasi tutto è stato portato a termine. Solo con qualche ora di ritardo : -)

Il primo ascolto musicale, tutto ha inizio qui

primo ascolto musicale

Finalmente si parla di musica.
Del primo ascolto melodico di un bimbo quando ancora è dentro la pancia della mamma. Qualcosa di unico, che a pensarci, ancora oggi, mi fa scorrere i brividini lungo la schiena.
Chiaro, per un musicista è molto facile, bon-ci bon-ci bo-bo-bon.

Ma anche se siete degli ingegneri o dei pallanuotisti, pensate a quante migliaia, milioni, miliardi di canzoni avete ascoltato fino ad ora. Spotify esploderebbe.
La prima di quest’anno ce l’avete in mente?
E la prima che vi ricordate da quando siete bimbi??
Ma il primo ascolto musicale in assoluto della vostra vita, vi rendete conto cosa sia???

Ok, sto esagerando.
Però se fondo in un unico pensiero le due mie più grandi passioni, mio figlio e la musica, vado in loop, è come unire i puntini dall’uno all’infinito.

La nostra idea

Beh, pensandoci e ripensandoci, nelle primissime notti in dolce attesa, ci siamo inventati il modo per evitare che Peter in futuro ascolti Holly, Benji e Fedez.

Esiste una cuffia speciale che solo i DJ più tamarri, borazzi e cavalcapiste possiedono. Si chiama doccia. O mono.
Ovviamente se cercate su Google “cuffia doccia” rimarrete delusi.
Chissà se l’inventore aveva pensato anche a questo utilizzo. Si potrebbe chiamarlo e fare il business prenatal.
Ad ogni modo il gioco è semplice:
1. Scartare la cuffia dal suo involucro protettivo, tipo condom
2. Inserire lo spinotto, detto jack, nella foro, detto porta, degli auricolari
2b. Eventualmente acquistare non su Amazon un adattatore jack grande – jack piccolo (tutta la famiglia Jack insomma)
3. Adagiare dolcemente la cuffia sulla pancia della mamma, sa poi lei dove metterla
4. Riprodurre la musica in modalità Repeat 1 (sentirete che scalcia quando gli piace il pezzo)
5. Addormentarvi tutti insieme accoccolati

La scelta del brano non è banale.
Musica distensiva, rilassante e avvolgente come il mare, il mio consiglio.
Ma magari volete crescere un torello, quindi AC/DC, Eminem, Chemical Brothers vanno tutti bene. Il figlio è vostro, sappiate che gli state dando il primo assaggio della più dolce forma di comunicazione che l’uomo abbia mai creato.

Volete sapere cosa ho fatto sentire, solo ed esclusivamente, a mio figlio per i suoi primi 9 mesi di vita?

ECCO LA RISPOSTA

A questo ed altro serve un papà. Per esempio? LEGGI QUA

Chi ha paura della rete?

thug life peter

Masha lancia un’idea, mi piace subito.
Troviamo un nome, un dominio e tanti spunti per iniziare a scrivere.
Dai, si parte, carichi: primo post, prima foto, primo grande dubbio.
Ma è giusto pubblicare le foto del mio ciccio, minorenne, indifeso, che riposa aggomitolato sul lettino??

Google parla chiaro.
6.750.000 risultati di allerta sulla pubblicazione di foto di minorenni online.
Eppure Facebook, Instagram e Internet ne sono strapieni.
Subito dopo #cat, #baby è un hashtag di spicco da 120 milioni di post.

Son tutti matti quelli che postano foto dei propri figli?

Fino a ieri, dalla mia scrivania di un’azienda di informatica specializzata in web e sicurezza, ammonivo ogni social—mamma o social—babbo.
Ero il Moralizzatore.
In generale, condividere la propria vita in rete mi ha sempre lasciato perplesso. Un buon inizio per scrivere un blog : – )
Ora però devo capire meglio, prima di auto – moralizzarmi.
Parlarne con gente che sa il fatto suo: amica magistrato, mamma poliziotto, blogger californiana. Leggere mille articoli di mamme che sono chilometri più avanti di me, lo riconosco. Ma io sono Fox Molder e voglio andare fino in fondo.
Alla fine che cosa ho scoperto?

Domanda ingenua: ah ma il mio blog non lo leggono solo bravi papà e mamme con la voglia di condividere la più grande delle passioni?

Risposta cinica: no. Le foto di mio figlio verranno viste, scaricate, mercificate da orchi di tutto il mondo come nelle peggiori serie criminali di Netflix.

Conclusione: 
non sottovaluterò il rischio, né smetterò di scrivere ancor prima di avere iniziato. Cercherò però di usare tutta la fantasia in possesso per proteggere la mia famiglia dal male invisibile.

Le mie regole del gioco:
1. niente foto in costume da bagno (per vs sfortuna vale solo per Peter)
2. niente cognomi o dati personali reali
3. niente foto di gruppo per non coinvolgere altri bambini
4. filtri a manetta per modificare le foto in maniera simpatica
5. macro e inquadrature storte per foto più emotive e meno realistiche
6. se necessario userò la maschera del lottatore messicano Rey Mysterio
7. smetterò di fare il Moralizzatore

Cosa ho letto:
Lacasanellaprateria.com
Foto dei Bambini Online: Perché NON ho Paura
link

Machedavvero.it
Perché non metto foto di mia figlia online
link

Partenopol.it 
Pubblicare le foto dei bambini su Facebook: i Rischi
link

A cosa serve il Papà?

mamma allattamento bebè sorriso

Ammettiamolo, a cosa serve la Mamma lo sanno tutti.
Lo sa anche il bimbo appena esce dalla pancia.
Ma allora a cosa servo io?

Qualche idea me la sono fatta in questi mesi.
Grazie alle sagge ostetriche del corso pre-parto, ma soprattutto a Peter e Masha, che in ogni momento mi hanno comunicato, più o meno direttamente, le loro volontà e necessità del momento.
Posso quindi affermare che nel mio caso ci sono state diverse fasi di utilizzo del soggetto Papà. Procediamo con ordine.

Fase 1. La dolce ombra
Prima del parto, durante e immediatamente dopo, la mamma è giustamente il centro del mondo. Sensibilità a manetta. Ogni cosa deve filare liscia come l’olio di semi di lino. Essere presenti con l’outfit sbagliato potrebbe già infastidirla.
Quindi si diventa dei ninja. Un’ombra d’amore.
Il gioco di anticipo è la tattica, l’empatia l’arma segreta, il silenzio la chiave.
La parte più difficile per chi, come me, è abituato a fare sempre un gran casino. Ma anche quella più significativa, dove i piccoli gesti impercettibili diventano le grandi soddisfazioni quotidiane.

Fase 2. La macchina da guerra
Quando tutto sembra tornare a posto (ma è solo un’illusione ottica) allora si può iniziare ad essere operativi di nuovo.
Ora sì che c’è da fare concretamente qualcosa, altroché piccoli gesti.
Lava, prepara, sgombera, sistema, proteggi, porta qui e riporta di là. E compra tutto quello che mi sono dimenticato di acquistare prima. Amazon funziona maleficamente bene.
Peter nasce a Maggio. Io riesco a giocarmi la carta part-time da Giugno a Settembre. E sono mesi fantasmagorici.
Ma che ve lo racconto a fa’ — già avrete capito.
Per me è stato molto positivo tornare ad essere un cuoco, un maggiordomo, un autista, un fattorino, un operaio, un uomo delle pulizie per quanto sia impacciato con i bagni e le superfici lavabili.
Sentirsi utili aiuta prima di tutto sé stessi. Anche se il periodo dei piccoli gesti mi ha fatto crescere tanto nell’arte dello zen quanto in quella della psicologia pro-attiva.

Fase 3. Eroi in azione
Il punto di inizio e non ritorno di questa fase è netto, epico.
Solitamente un evento così drastico che lo si immortala con una foto, un aneddoto da raccontare ai parenti, un post sul blog.
Nel mio caso è stato l’affidamento totale di Peter dalle 5:00 alle 23:00 il giorno 20 Dicembre 2017. Ho fatto un piccolo tatuaggio tribale cinese in memoria di questa esperienza, più avanti vi racconterò nel dettaglio.
Immaginatevi di passare da soldato semplice a capo di stato maggiore, senza nessun particolare addestramento, dall’alba al tramonto.
A me è sembrato qualcosa di eroico. Una giornata pazzesca e risultati ottimi su tutti i fronti: alimentazione, divertimento, pulizia del bimbo.
Dopo questa, tante altre missioni speciali ad alto rischio mi sono state affidate, tra le quali: soppressione poppata notturna (quindi dormire da solo tutta la notte con Peter), controllo quotidiano proprietà organolettiche cacca, e tra qualche settimana, supervisione totale dalle 10:00 alle 18:00.

Dalle Fase 4 in poi ve ne parlerò quando ci sarò arrivato. : – )

Avete capito quindi a cosa sono servito come Papà?
Sì, esatto, ad insegnare a Peter quello che Mamma vieta di fare!

L‘amore in ogni dove

peter_cassetto

Nessuno me lo aveva specificatamente detto.
Certo potevo immaginarmelo, anche se l’immaginazione opera con elementi che bene o male fanno parte del nostro mondo interiore o esteriore.
Qua stiamo parlando di un altro universo!

Dunque vi confido questa mia intima scoperta:
Peter, ri-Peter e ancora Peter. C’è solo lui nella mia vita. Mattina e sera, soprattutto notte. Lo vedo uscire da tutti i cassetti (vedi foto : – ) e da ogni porta.

Potete leggerlo come la più dolce delle dediche di amore di un padre per un figlio. Oppure come la disperata richiesta d’aiuto di un babbo allo stremo delle sue energie dopo solo pochi mesi di paternità.
Forse, anzi sicuramente, è un po’ di entrambe.